Quando ci sediamo su una panchina collocata in uno spiazzo panoramico di uno dei nostri villaggi, solitamente ci orientiamo verso il piano, verso il fondovalle, il borgo o la città. Per conoscere davvero la vita della montagna dovremmo però tornare a rivolgere il nostro sguardo a ciò che sta dietro e sopra di noi. Credo che provare a girare l’orientamento di quella panchina sia l’unico modo possibile per immaginare un futuro, grazie al rispetto di alcune caratteristiche comunitarie del passato e alla valorizzazione di ciò che già esiste.
Il primo obiettivo di una politica per le regioni di montagna dovrebbe passare dal riconoscere che le valli possiedono caratteristiche e bisogni che solo chi le abita può cogliere e identificare.
La montagna non esiste senza lo stretto rapporto, a volte anche conflittuale, fra l’essere umano e la natura. La natura idilliaca incontaminata è solo un mito o un’improbabile fotografia turistica ad uso e consumo di una società consumistica divenuta prevalentemente urbana, vale a dire un prodotto da vendere o comprare. Questa è una visione unilaterale e pericolosa, che va sostituita con la preservazione e la valorizzazione delle attività umane esistenti e con la rivitalizzazione di attività economiche comunitarie – produzione di cibo di qualità – lontane dalla produzione di massa.
Fine ultimo dovrebbe essere il “tornare ad abitare”. Abitare non solo nel senso di “avere” una casa in cui stare chiudendosi su se stessi, ma muoversi, riconoscendosi in un territorio, in un villaggio vivo socialmente, in una regione che dialoga e stabilisce collegamenti dinamici al suo interno, ma anche con altre regioni analoghe e con il resto del paese, anche con le città.
Di fronte allo spopolamento delle valli, bisogna che le politiche dei Comuni, del Cantone e della Confederazione stimolino, in modo mirato e con i necessari incentivi, tutte le soluzioni locali sostenibili che intendono promuovere una vita gradevole per chi ci abita e per chi volesse tornare a viverci o arrivare. È la possibilità di vivere bene della popolazione residente, in armonia con il territorio e con le altre persone, che rende veramente attrattiva una valle o una regione periferica.
Un turista che sceglie di visitare una delle nostre valli o sta valutando se trasferirsi lì per viverci lo fa perché è interessato alle particolarità del luogo e perché fugge da altri luoghi ormai standardizzati. Ciò che lo attrae, accanto alla bellezza del paesaggio, è la speranza di trovare una comunità funzionante e accogliente, con la quale riesca a stabilire rapporti positivi aperti e autentici. Cerca una comunità locale in cui ci sia una cultura delle relazioni non uniformizzata su standard riprodotti in qualsiasi altra regione.
Anziché sacrificare terreni preziosi per la costruzione di nuovi quartieri banalizzanti e poco sostenibili, varrebbe la pena favorire, con le necessarie agevolazioni, la rimessa in funzione delle case esistenti dei nuclei abitativi, per salvare edifici meritevoli di conservazione e ricreare una vita di paese.
Rimettendo in funzione antichi ritrovi pubblici, luoghi simbolici, monumenti, costruzioni (case e stalle) e persino elementi diroccati meritevoli di una memoria – facendoli interagire con la cultura e l’economia reale – faremmo un regalo a noi stessi e al turista attento e rispettoso.
Paradossalmente, la fragilità delle zone di montagna che non sono state sfigurate dalla speculazione edilizia (le “periferie cancerogene”) potrebbe costituire il punto di forza da cui partire e diventare il modello ideale, il laboratorio di una sensibilità comunitaria recuperata e realizzata nella pratica, da trasferire (a tutto vantaggio dell’ambiente) anche in altre realtà, come modello alternativo all’omologazione massificata.
Ovviamente una buona politica per le regioni di montagna passa dalle risorse finanziare che l’ente pubblico, ai vari livelli, è in grado di erogare, per la socialità, la salute, gli anziani, i trasporti pubblici, i sussidi ai contadini, i servizi, il sostegno alle attività economiche, culturali e sportive, la cura del territorio e la transizione energetica.
I problemi delle persone comuni, indipendentemente dal loro luogo di residenza, e le regioni periferiche necessitano, ora più che mai, di una politica che sospenda i soliti regali alle grandi concentrazioni finanziarie e prospetti nuove forme di fiscalità, che sappiano ridurre le disuguaglianze tra le persone e le regioni attraverso una vera ridistribuzione della ricchezza.