Salvo rare eccezioni, si dibatte il tema della migrazione sulla pelle degli esseri umani, fra tifoserie e per fini esclusivamente elettorali, dimenticando almeno tre elementi essenziali: lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, le reali proporzioni del fenomeno migratorio in rapporto alla popolazione globale europea e svizzera (saldi migratori, invecchiamento e demografia complessiva) e gli aspetti economici (globali e locali), determinati da profonde ingiustizie e abissali disuguaglianze.
Definire un o una migrante come “materiale umano difficilmente assimilabile” (espressione utilizzata in Svizzera) o “carico residuale” (parole recenti di un ministro italiano) è qualcosa di obiettivamente grave, che danneggia noi stessi, il nostro stato di diritto, la nostra libertà e la nostra dignità di essere umani.
L’egemonia neoliberista, con il culto dell’individualismo e l’attacco frontale allo Stato sociale, ha distrutto ognuno di questi principi, favorendo la concentrazione in pochissime mani della ricchezza, generando impressionanti disuguaglianze e cancellando il concetto stesso di solidarietà.
Per converso, il tema dell’immigrazione viene sempre dirottato sul terreno fluido e soggettivo – si pensi al plurilinguismo svizzero – dell’“identità”, affinché non si parli mai delle disuguaglianze economiche, delle sue cause e dei suoi effetti anche da noi.
Le politiche sovraniste mettono in campo una sottile contraddizione – mai sufficientemente smascherata – fra la volontà dichiarata di erigere muri e la difesa incondizionata della finanza internazionale e delle multinazionali, con la loro totale libertà di agire senza ostacoli nel mondo globalizzato, fatta di dolorose esternalizzazioni, reclutamento di mano d’opera a basso costo ed elusione fiscale.
Questo sottile inganno fa sì che, anche da noi, le persone più fragili economicamente (proprio perché non sostenute e protette a sufficienza da uno stato sociale sempre sotto attacco), anziché esigere una fiscalità più equa per migliorare le proprie condizioni di vita, sono invogliate a prendersela con delle persone che muoiono in mare o nelle foreste dell’est per fuggire alla violenza, alle catastrofi climatiche e alla miseria.
Di fatto, chi alimenta le disuguaglianze, nega la cooperazione con i paesi poveri e ostacola ogni sforzo per contrastare la crisi climatica favorisce l’emigrazione.
È tempo di non cadere più in questa trappola. Bisogna evitare di illudersi di risolvere i problemi – come molti vorrebbero – separatamente, ma ricondurli alla loro vera radice. Si tratta di ridistribuire la ricchezza, anche nel nostro Paese, affinché le nostre popolazioni siano pronte, grazie a un sistema sociale più solido e giusto, a trovare soluzioni credibili e risorse per accogliere con serenità chi fugge dalla disperazione.
Articolo apparso il 30 novembre 2022 sul Corriere del Ticino.