L’esperienza diretta degli operatori specializzati che quotidianamente agiscono nel nostro territorio e i dati forniti da tutti gli istituti di ricerca confermano che, anche in Ticino, il problema della salute mentale delle persone, in particolare di quelle più giovani, si sta aggravando in modo intollerabile.
Lo scorso 21 settembre, il Gran Consiglio ha finalmente accolto la nuova Pianificazione sociopsichiatrica, che dà delle buone indicazioni, poiché tiene conto delle esigenze dei vari cicli della vita – dall’infanzia all’anzianità – e della necessità di un approccio più flessibile e aperto sul territorio. Il grido di allarme che viene dai giovani e dalle giovani in difficoltà richiede però interventi più incisivi e profondi, guidati da strategie mirate e capillari, sul terreno dell’ascolto e della prevenzione.
Si sa che i disturbi psichici, anche quelli che potenzialmente possono esplodere più avanti negli anni, si fanno strada già in età giovanile, ma rimangono troppo spesso inosservati. Vanno perciò mobilitate le risorse umane e finanziarie necessarie per affrontare questa emergenza, spesso dimenticata, che è fonte di sofferenza per molte persone e molte famiglie.
UNICEF Svizzera formula in quattro punti le sue raccomandazioni. Primo: i programmi di prevenzione devono raggiungere molto presto le persone giovani e rafforzare i fattori di protezione e ciò va fatto con il coinvolgimento (oltre agli specialisti del settore sanitario) anche degli adulti che fanno parte dell’ambiente immediato dei giovani. Secondo: va superato lo stigma legato al ricorso ai servizi di salute mentale; cosa possibile esclusivamente grazie al recupero (attraverso una sensibilizzazione di giovani e adulti) della capacità di parlare e di esprimere i propri sentimenti. Terzo: le offerte devono essere elaborate “per e con i giovani”, anche per accertare quali sono le reali esigenze e le eventuali carenze dell’assistenza. Quarto: ogni giovane deve sentirsi legittimato o legittimata a chiedere aiuto in modo facilitato, perciò i servizi devono essere facilmente accessibili e disporre di capacità adeguate.
Accanto all’indispensabile accoglienza medica, andrebbero perciò creati o potenziati dei “luoghi di parola” negli ambiti più significativi in cui i giovani costruiscono la loro vita (scuola, lavoro, tempo libero), ma in situazioni poco istituzionalizzate e spazi neutri “demedicalizzati”, in cui sia possibile parlare in modo informale e anonimo, senza rapporti di subordinazione o dipendenza : dei luoghi di dialogo in cui sia possibile raccontare l’urgenza della propria storia a una persona preparata e competente che sappia ascoltare e consigliare, sulla base della rilevanza dei problemi, eventuali soluzioni.
È la parola che produce il senso. È il raccontarsi che permette all’essere umano di mettere ordine nella sua vita creando legami e coerenza. Prevenire il “male oscuro” è ricostruire un proprio punto di vista che permetta uno sguardo positivo verso il futuro.
Articolo apparso il 18 marzo 2023 su LaRegione.